Un po' di storia del Kayak…

Il kayak ha origini antichissime che si perdono
nella notte dei tempi.

Fu ideato dalle popolazioni che vivevano nelle regioni artiche e sub artiche che lo utilizzavano espressamente come mezzo da caccia e da trasporto. La velocità e la silenziosità rappresentavano nel passato, e rappresentano tuttora, una delle peculiarità di questa imbarcazione. Non deve essere dimenticato un altro aspetto, forse il più importante: il kayak consentiva di recuperare la posizione dopo un ribaltamento senza dover per forza uscire dal pozzetto. Questo voleva dire poter sopravvivere là dove la temperatura dell’acqua è prossima a punto di congelamento.

Al di là delle diverse tipologie che si svilupparono, dalla Siberia alla Groenlandia, i kayak (nella lingua Inuit: Qaannat, se gli esemplari sono più di due) erano costruiti con i pochi materiali che le popolazioni del Grande Nord avevano a disposizione: legno per l’intelaiatura (a volta anche fanoni), pelli per la copertura, tendini per le cuciture e le legature.

I modelli antichi conservati nei musei, non poi così numerosi, testimoniano la maestria dei vecchi costruttori nel creare una imbarcazione che ogni volta si doveva adattare alle misure antropometriche di chi la utilizzava. È questa un’altra prerogativa di questa imbarcazione: sul kayak non si sale, ma lo si indossa!

L’uomo bianco ha sempre dato un nome proprio alle barche per rendersi amico lo spirito che vive in esse: c’è quindi una netta differenziazione tra equipaggio e natante. Nel kayak questo non esiste: lo scafo deve essere il prolungamento fisico e spirituale di chi lo veste.

Non deve essere dimenticato lo strumento principe che naturalmente ha accompagnato il kayak nella sua lunga storia: la pagaia. Anch’essa si è sviluppata in diverse tipologie: dagli esemplari con una sola pala a quelli con due, da quelli lunghi appena 2 metri ad altri che arrivano ai 2,5 metri e oltre. Altre importanti differenziazioni riguardano la forma delle pale, la loro simmetricità, la presenza di anelli sgocciolatoi e di rinforzi alle estremità o lungo i bordi.

È da notare come le antiche pagaie presentino le pale generalmente strette e non incrociate: questo deve far riflettere. Ciò le rendeva molto silenziose durante le battute di caccia, neutre alle raffiche di vento e poco stancanti per l’utilizzatore che, tra l’altro, non era costretto a ruotare i polsi. In particolare questo ultimo aspetto assumeva una valenza maggiore nel momento in cui si doveva tirare con l’arpione o, più recentemente, sparare con il fucile.
Sulle antiche tecniche di conduzione fortunatamente non tutto è andato perduto per quanto riguarda la Groenlandia ed alcune zone del Canada. Un grande merito di ciò va attribuito all’opera svolta dalle Università Canadesi da un lato e dal lavoro dei singoli dall’altro: a questo riguardo deve sicuramente essere menzionato Manasse Mathaeussen, uno degli ultimi cacciatori di foche ad utilizzare il kayak, il quale, prima di morire nel 1989, è riuscito a tramandare diverse manovre che rischiavano di essere cancellate del tutto dall’introduzione delle barche a motore.

Purtroppo non è stato così per gli Aleutini. Questo popolo, drammaticamente sottomesso dai russi nell’epoca zarista, si doveva confrontare giornalmente con le terribili condizioni del Mare di Bering. Probabilmente i cacciatori Aleutini sono stati i migliori pagaiatori in acqua mossa della storia del kayak: si pensa che molti di loro, costretti a cacciare zibellini e lontre di mare per il mercato russo, arrivarono sin sulle coste Californiane!
Di loro non ci rimane che il Bajdarka, il tipico kayak con la prua bifida, e qualche esemplare di pagaia. Del loro modo di pagaiare e di recuperare la posizione dopo un capovolgimento non c’è nulla di certo.